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Scemo chi vince. Sondaggio semiserio sulle elezioni 2015 (o 2014?)

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Ordunque (certi incipit improbabili si possono leggere solo su questo blog), l’Italia si appresta a darsi una nuova legge elettorale. Eh sì, era proprio quello che ci voleva. Di tutti i problemi urgenti e improcrastinabili questo era certamente il più sentito dal popolo.

Non hai un lavoro? Tranquillo, ora hai il listino corto.

Prima non arrivavi a fine mese e ora addirittura temi di non riuscire nemmeno a cominciarlo, il mese? E vedi come un miraggio il confine tra 31 e l’1, che riazzererà il plafond della tua rovente carta di credito? Keep calm: ora c’è il doppio turno.

E, naturalmente, se temi che la corruzione impedisca a te e ai tuoi figli di vivere in un Paese che se non premi la meritocrazia (embè, ai miracoli ormai non ci crede più nessuno, a parte i Mastrapasqua di turno), che offra perlomeno garanzie di pari opportunità a tutti i suoi cittadini, devi aver fede: il ricatto dei partitini sarà scongiurato da alte soglie di sbarramento.

E così, se hai deciso che ti sei rotto le balle di questo inutile teatrino politico che ti spupazzano quotidianamente ormai da anni e pensi “Ora scendo in campo io”: puppa. Se non prendi almeno l’8 percento sei fuori. Ma 8% significa circa tre milioni di voti. Un po’ troppi per me. E anche per te. Ma è la democrazia bellezza!, dicono, e l’accettiamo. Se non hai tre milioni di voti, non sei nessuno. E’ giusto che tu stia a casa, a guardare attraverso la tele l’inutile teatrino che ti spupazzano quotidianamente ormai da anni.

Insomma, è facile prevedere che alle prossime elezioni i tre poli che se la giocheranno saranno PDL (o come diavolo si chiamerà), CSX e M5S. Ipotizzando che nessuno arrivi al 37%, si prospetta un ballottaggio. Renzi punta molto (forse tutto) sul suo appeal. Berlusconi tirerà fuori dal cilindro qualche promessa mirabolante, alla quale al solito milioni di imbecilli crederanno (che ci possiamo fare: è la democrazia, bellezza!). Grillo al grido di fanno tutti schifo! Sono tutti morti! raccoglierà il resto. Pescando molto, temo, anche a sinistra, se SEL come probabile rimarrà un satellite pericolosamente gravitante intorno all’orbita di un PD totalmente renzicentrico.

Al ballottaggio quindi, cosa succederà? Boh, è difficile da dire, e io poi con le previsioni sono notoriamente una chiavica. Ma fin tanto che non diventerà un reato spararle a caso, ci provo di nuovo:
Ipotesi A) Ballottaggio PD-PDL: vince il PD. Non si discute. Mi rifiuto di immaginare uno scenario diverso, per la mia salute mentale. Che poi, in fondo, cosa cambia? (nota amara di un elettore scoraggiato e disilluso).
Ipotesi B) Ballottaggio PDL-M5S: dipenderà molto dalla strategia di Grillo per accapparrarsi i voti degli elettori PD, ma che questi votino Berlusconi anche per sbaglio, mi pare decisamente improbabile. Un voto a Grillo, una volta sola, giusto per vedere di nascosto l’effetto che fa, glielo daremmo. Quindi: vince il M5S.
Ipotesi C) Ballottaggio PD-M5S. E qui viene la sicumera del nostro segretario: siamo abbastanza certi che l’elettorato PDL voterà Renzi compatto. D’altronde il candidato è più loro che nostro (#sischerza). Praticamente certo che vince il PD.

Pertanto, a ragionarci sopra non ci si azzecca mai, ma tanto non si fa peccato:

  • Il PD vince le elezioni se supera il 37% o se entra almeno in ballottaggio. Difficile immaginare che non accada, ma in passato la sinistra è riuscita a perdere elezioni anche più facili, quindi perchè mettere limiti alla Provvidenza? Soprattutto se qualcuno non capisce che più dura questo governo, più la certezza di una vittoria si allontana…
  • Il M5S vince le elezioni se entra in ballottaggio con il PDL. Ipotesi improbabile, al momento, ma affascinante. Grillo dovrebbe fare tutta la sua campagna sul e contro il PD. Oh: ma non la sta già facendo?
  • Il PDL vincerebbe le elezioni solo nel caso in cui superasse il 37% (e il PD) al primo turno. Ipotesi remota anch’essa, al momento. Ma Berlusconi conosce il Paese. Sa dove andare a bussare per sommare voti. I listini bloccati gli consentono di elargire posti in Parlamento a chiunque, in cambio di un bel bottino di consensi. E, dunque, non è affatto scontato che non riesca nel giochino. E infatti in molti l’hanno fatto notare:

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E chissà poi che nel frattempo a Berlusconi non riesca anche di trovare un “Civati” di destra…

Beh, si scherza, naturalmente. Infatti Renzi ci tiene a sottolineare che non si vince grazie ad una legge elettorale, ma perché si riesce ad entrare nel cuore e nella testa degli elettori, conquistandoli uno per uno.

E io mi auguro che Renzi questo faccia. E che non sia solo propaganda elettorale, ma un percorso condiviso di crescita e di proposta. Un #civoti, insomma.

Che le cose, insomma, cambiano solo cambiandole.

Il cappotto.

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“Disfatta” della destra alle amministrative. Del 1995. L’inizio del ventennio Berlusconiano. Per dire.

16-0. Cappotto.

Qualche anno fa (parecchi anni fa) un risultato del genere per un partito di governo avrebbe portato inevitabilmente alla crisi. Ma stavolta non succederà.

Strano, davvero. Come se il governo fosse un monocolore piddino. Come se il risultato amministrativo non riguardasse una componente essenziale di questo neonato ma già stanco governo. Come se il test fosse verificare soltanto se agli elettori di centrosinistra l’alleanza con Berlusconi fosse gradita. Dovrebbero esserne entusiasti, visto com’è andata.

Ma utilizzando lo stesso criterio di lettura, si dovrebbe allora concludere che agli elettori di centrodestra vedano questa alleanza con noi – in un governo che peraltro ha sospeso l’Imu, rispolverato il semipresidenzialismo, e … (che altro ha fatto? Aiutatemi, non mi viene altro in mente!) – debba invece fare proprio schifo. Nessun commentatore entusiasta lo fa presente?

Sono solidale con i miei connazionali di centrodestra. Lo schifo è ricambiato.

E sui grillini, che realizzano risultati paragonabili quelli di una discreta lista civica, non diciamo niente? Ah già: sarebbero delusi dell’occasione sprecata.

Suvvia, siamo seri. Le amministrative hanno sempre premiato il centrosinistra. Che riesce ad esprimere una classe dirigente diffusa al di là dei leader nazionali. Proprio quella classe dirigente nascosta, apprezzata e premiata che ci auguriamo di portare alla ribalta nazionale, con gli strumenti giusti di democrazia interna e di naturale selezione dei più capaci e meritevoli. Gli altri partiti padronali hanno il vuoto dietro il loro padrone. Il PD è diverso. Per questo vogliamo salvarlo. Prima che un nome e un cognome, di chiunque sia, occupino anche questo simbolo.

E leggere i risultati elettorali in maniera distorta, solo per portare sterilmente un po’ d’acqua al proprio mulino, aggiungere un po’ di vento alla propria corrente, dare un po’ di sostanza alle proprie deboli tesi, è proprio quel tipo di politica terraterra di cui vorremmo finalmente liberarci per poter volare alto.

Dobbiamo lavorare per recuperare il non voto, non per ottenere un voto in più dell’avversario da meno della metà degli aventi diritto; farlo significa ridare speranza agli italiani e riportarli a credere nella politica e nella democrazia.

P.s.: se invece non lo faremo, cullandoci per un risultato premiante per motivi evidentemente diversi da quanto le allodole alludano, alle prossime elezioni europee, dove torna a giocare un ruolo forte il voto d’opinione, i risultati potrebbero essere notevolmente diversi. Chissà se magari a quel punto #potrebbecadereilgoverno.

Pippo @civati e @bobogiac Giachetti inutile dare perle ai porcellum

Ieri il Parlamento ha bocciato la mozione Giachetti, sostenuta da cento deputati, che chiedeva un immediato ritorno al mattarellum per cancellare la legge porcata con la quale votiamo da molti anni; legge che tutti peraltro dicono di voler cambiare ma poi, come abbiamo visto, nessuno cambia mai.

Intendiamoci: il mattarellum non è la panacea di tutti i mali, tutt’altro; quand’era in vigore, allora come oggi, tutti chiedevano di cambiarla. Ma avendo cambiato in peggio, almeno si chiedeva di tornare indietro, e riprendere serenamente il dibattito dov’era stato interrotto quasi dieci anni fa allorquando con un colpo di mano la maggioranza di centrodestra la sostituì con l’attuale. Con il plauso, dico io, dell’apparato di centrosinistra, che difatti non l’ha mai voluta cambiare, oggi come allora.

Stavolta la scusa, sostenuta anche da autorevoli ma un po inquietanti personaggi di centrosinistra, è la seguente: inutile tornare al mattarellum se tanto la legge elettorale dev’essere consona alla forma di Stato e di Governo che si vuole implementare, la cui discussione sta per partire. Insomma, inutile perdere tempo per discutere l’abrogazione di una legge che tanto presto verrà comunque sostituita in conseguenza delle imminenti Riforme Costituzionali.

Il bello è che gli stessi personaggi che sostengono questa scusa, pardon tesi, un attimo dopo riflettono che tanto questa sgangherata maggioranza la Costituzione non la toccherà mai. Cito Cacciari tra tutti, per averlo sentito stupito con le mie stesse orecchie. E quindi?
E quindi vi terrete il porcellum, cari miei.

Ma caro Cacciari, forse dimentichi che, se pur da riformare, una forma di Stato e di Governo noi ce l’abbiamo già. E i rapporti tra i cittadini e gli eletti sono oggi regolati da questa legge qua. Non sarebbe quindi INTANTO più corretto ritornare a regolarli con un legge che, se pur imperfetta, è comunque migliore di questa? Quando si deciderà di cambiare, se si deciderà, si ritoccherà nuovamente la legge elettorale. A noi contribuenti questo eventuale doppio passaggio non costerà di più, che i parlamentari non sono pagati un tanto a legge.

La verità a mio avviso, come ho scritto nel post precedente, è che così facendo la maggioranza tiene tutti per le palle: i dissidenti del PD con velleità scissioniste, i grillini scossi dalle amministrative , i partitini di un’opposizione solo sulla carta, che alle prossime elezioni avranno bisogno di Pd e Pdl se non vogliono rischiare di scomparire. E tutti staranno quindi buoni buonini facendo campare questo governo il più a lungo possibile. Perche se si torna a votare, con questa legge, i dissidenti faticheranno a trovare posto nelle liste bloccate, i pentastellati rischiano di ridimensionarsi parecchio, i partitini o si alleano o muoiono.

Ma questa è un’ipotesi troppo dietrologica, non si può pensare sempre ad un complotto ordito per il mantenimento del potere! Dobbiamo quindi più naturalmente pensare che i politici, sempre tesi alla ricerca del “migliore”, non si accontentano mai di un “meglio”. E non importa se nel frattempo gli anni passano e tutto resta immutato: Tanto al peggio, a questo punto, ci dovremmo essere comunque già abituati.

Il senso dello Stato

Abbiamo vissuto il peggio della politica italiana degli ultimi trent’anni condensati in un solo mese e mezzo. Un concentrato di immondizia che rischia di soffocare il già flebile anelito di democrazia che ancora ci assiste.

Pensavamo che il peggio fosse Berlusconi. Il senso dello Stato, quella cosa che ti fa anteporre gli interessi dei cittadini, del Pubblico, ai tuoi personali e alle tue private ambizioni, o ce l’hai o non ce l’hai. E lui non ce l’ha. Amen, ce ne siamo fatta una ragione.

Ma evidentemente questi figli minori della prima Repubblica tutto hanno ereditato dai loro padri meno che il senso dello Stato; dal giorno dopo le elezioni non un solo attore della vita politica italiana si è dimostrato portatore sano di rispetto delle regole.

Non lo è stato Napolitano. Per congelare Bersani e regalargli qualche chances di convincere il Movimento a non impedire un suo governo, ha messo nel freezer l’intera Costituzione e sessantamilioni di cittadini. Le regole vorrebbero che cippato il primo mandato esplorativo, se ne affidasse un altro. Sulla carta, e stando alle dichiarazioni dei partiti, un tentativo del Movimento, sulla base di un programma condiviso e con la proposta di nomi non compromessi e di alto profilo istituzionale, poteva avere successo. Abbiamo visto come dalle #Quirinarie la lista dei candidati sia rappresentata da 9/10 di eletti in area di centro sinistra e da un incandidabile, secondo i principi del Movimento (fedina penale affatto immacolata).
Il senso dello Stato di Napolitano è andato in pensione prima di lui.

Bersani, dal canto suo, sta anteponendo la sua comprensibile ambizione al bene della Nazione. Non mi risulta infatti che nei dialoghi con il Movimento si sia mai esplorata la possibilità di un Governo non guidato dal segretario. Se, per comprensibili ragioni dal punto di vista degli eletti pentastellati, il vulnus della questione era proprio il Segretario, senso dello Stato avrebbe voluto che si facesse da parte, cedendo il testimone ad altri. Invece siamo ancora impantanati qui a cercare una via d’uscita da questo buio vicolo cieco.

E veniamo al nuovo che avanza. Matteo Renzi; dopo aver perso le primarie, deve aver perso anche la bussola. Perchè nonostante le promesse di ritirarsi a fare il sindaco, contribuendo ove possibile a rendere il PD più forte, dal giorno della Direzione Nazionale in poi ha cominciato a lanciare missili terra aria con il poco nascosto obiettivo di far saltare il tentativo bersaniano di accordarsi in qualche modo con i parlamentari grillini. Arrivando addirittura a urlare quel che non si può nemmeno sussurrare: un accordo con il centrodestra di Berlusconi. Anche Renzi è mosso da ambizione e non da senso dello Stato: essendo evidente che le primarie non le ha vinte e non le vincerà mai, accusato di essere poco di sinistra e troppo vicino a Berlusconi, ha messo nel cassetto la pur brillante campagna impostata, ha gettato alle ortiche tre anni di lenta costruzione della sua credibilità, e in due settimane si è inimicato tutta la sinistra italiana, elettori compresi. Ma per la sua strategia, ammesso che ne abbia una, ormai gli elettori non contano nulla: una volta accertata la morte clinica del tentativo Bersani, si proporrà come trait d’union tra PD e PDL. Autostrada per Palazzo Chigi, ma addio senso dello Stato.

Di Grillo è invece anche superfluo parlare. Il santone che chiede a tutti il rispetto delle regole essendo il primo a fregarsene è un clichet ormai polveroso. Con l’aggravante che, all’interno del suo Partito, le regole se le è dettate da solo.

Ma il senso dello Stato lo abbiamo perso tutti noi. Non un commentatore, non un giornalista, non un cittadino ha alzato la mano per dire: ma in tutto sto casino, c’è almeno uno che sta giocando secondo le regole, dimostrando equilibrio e senso dello Stato, dote che ogni statista dovrebbe avere come bagaglio minimo per ambire a governare in democrazia?

No. Ci siamo limitati, come da abitudine, a fare il tifo per l’uno o per l’altro. Come in un incontro di wrestling, dove vince chi picchia più duro, ad ogni cazzotto parte l’applauso; ad ogni calcio in faccia ci si alza in piedi estasiati.

Ma quegli incontri sono truccati. Gli atleti non si picchiano davvero. L’incasso della serata viene diviso equamente. Le mosse spettacolari e i muscoli servono solo a far divertire il pubblico.

Ma il fatto è che io non mi diverto affatto. E voi?

Per fortuna non sono #Napolitano

La Pasqua è finita, infatti non sento più le campane. Dopo il mio articolo di ieri, che ha segnato un piccolo successo per il mio blog, con tanti accessi e feedback ricevuti, e altri interventi su altri blog liberi, noto con soddisfazione che i problemi che l’intervento di Napolitano (troppo presto salutato come salvatore della Patria, “ce ne fossero come lui!”) hanno ricevuto l’upgrade di giornali, tv e forze politiche.

A parte l’imbarazzante – imbarazzato – silenzio del PD, il PDL prima e il M5S poi si sono resi conto della fregatura cui andavano incontro. Ma tant’è, a me non interessano affatto i conti particolari di questo o quel partito: mi interessa il rispetto delle regole e la ricerca di una soluzione che possa portarci fuori dallo stallo quanto prima.

La soluzione proposta da Napolitano ha due gravi pecche:
1. E’ inutile;
2. E’ incostituzionale.

Sub 1. Congelare il risultato elettorale, far finta che il governo in carica non sia mai stato sfiduciato (ma nel frattempo le camere sono cambiate!), aggiungere altro tempo perso al già lungo tratto di strada fin qui percorso, passi. Ma la nomina di dieci saggi presidenziali, con il compito di elaborare proposte che mettano d’accordo i partiti (come se i partiti non fossero in grado di farlo da solo, se volessero), ridisegnando finanche l’assetto istituzionale, legge elettorale compresa, in pochi giorni, appare un espediente diretto o al fallimento, o a una lunga gestazione.

Sub 2. Non esiste in alcun punto della Costituzione che Napolitano abbia potere di eleggere una commissione di questo tipo; aggirerà magari l’ostacolo inquandrandoli come “consulenti” del Presidente (una consulenza in Italia non la si nega a nessuno), pagati di tasca sua (cioè nostra). Ma, pure ammesso che riescano velocemente ad elaborare una qualche tipo di proposta, che titolo avrebbe? Il Presidente della Repubblica non può proporre leggi al Parlamento, men che mai emanarne (i D.P.R. sono di emanazione governativa). Si tratterà dunque di un pezzo di carta del tutto inutile, a meno che, magicamente, gli stessi partiti che per 20 anni se le sono dette di tutti i colori senza riuscire a trovare l’accordo nemmeno sul colore delle penne da usare a Montecitorio, magicamente in pochi giorni si conformino tutti con il documento dei “saggi”. Delle due l’una: o questa procedura si rivelerà un’inutile perdita di tempo, o certificherà che per venti anni ci hanno preso per il culo. E allora: W Grillo!

La contrarietà alla Costituzione, e alla prassi costituzionale per la formazione di un Governo, si rivela anche in considerazione del fatto che dal 1948 ad oggi la formazione del Governo è stato atto affidato alle forze politiche. Non dimentichiamo che per cinquant’anni abbiamo avuto in Italia una legge proporzionale che non consentiva l’elezione di una maggioranza certa. La maggioranza doveva essere trovata in Parlamento. A questo fine il Capo dello Stato affida ad un esponente indicato da una delle forze rappresentate l’incarico (che non a caso si definisce esplorativo) per verificare se intorno ad un programma di governo riesce a calamitare l’appoggio di tanti parlamentari quanti ne servono per garantirgli la fiducia.

Fin qui Napolitano si è limitato ad affidare l’incarico al maggior partito italiano, che ha condotto delle consultazioni, le quali non si sono rivelate fruttuose, ma hanno messo in evidenza una possibile uscita dalla crisi (di governo). La dirigenza PD, per ragioni tutt’altro che incomprensibili, viene ritenuta inaffidabile, quindi non meritevole di fiducia dal M5S. Per contro, lo stesso M5S ha chiesto che venga incaricato di tentare la formazione di un governo, possibile sulla base programmatica del PD che non è mai stata contestata.

Dunque non si capisce perchè Napolitano abbia volutamente ignorato la possibilità di affidare al m5s l’onere e l’onore di tentare la formazione di un governo. Calpestando parte della Costituzione e ignorandone altre. Avrà certamente avuto i suoi buoni motivi, se ha condotto questa crisi con modi che, mossi da altri, avrebbero certamente fatto gridare all’empeachment tante campane che ieri suonavano allegramente.

Il canto del Grillo

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Precedenti penali. Disprezzo dell’avversario. Assenza di senso dello Stato. Partito-padrone. Assenza di democrazia interna. Dire una cosa, poi smentirla. Attaccare i giornalisti che riportano frasi estrapolate dal contesto. Programma politico fumoso o inesistente. Vittimismo. Manie di onnipotenza. Accuse di complotti per far fuori l’avversario politico.

Grillo si sta impegnando davvero tanto per somigliare nei fatti a quello che, a parole, dice di disprezzare e combattere: Silvio Berlusconi.

Conoscendo l’intelligenza di Grillo e Casaleggio, pensare che tutto sia frutto del caso, o dell’irresponsabilità, o dell’inesperienza, o anche soltanto della paura di perdere quello che in pochi anni sono riusciti a costruire, è riduttivo, e probabilmente non risponde al vero.

La premiata ditta Casaleggio&Grillo, negando la fiducia ad un governo Bersani, andando contro il mandato dei loro stessi elettori, che li hanno incaricati del Cambiamento fornendo loro anche i numeri per attuarlo (sebbene in simbiosi con altre forze politiche e soggetti quindi all’inevitabile fardello del compromesso), non stanno lasciando: raddoppiano.

Sul tavolo ci sono dieci milioni di voti potenziali. Quelli di Silvio Berlusconi. Un leader stanco e in caduta libera, circondato da inaffidabili ed impresentabili compagni di merende, che lascierà, più presto che tardi, un vuoto nella rappresentanza politica di questo Paese.

Pensare che i voti dello zoccolo duro del PDL passeranno anche solo in parte al centrosinistra è pura utopia: non è accaduto nemmeno di fronte all’insuccesso conclamato dell’ultimo governo della Destra, le figuracce internazionali, la crisi prima negata e poi snobbata; l’esperimento Monti di resuscitare la Democrazia Cristiana è esploso prima di nascere; e all’orizzonte non si vedono eredi di pari carisma.

Ecco quindi che un governo di cambiamento con il PD sarebbe d’ostacolo al disegno politico di raccogliere l’eredità berlusconiana. Certo, così facendo, qualche consenso per strada si perderebbe. Ma a Grillo non interessa governare adesso. Non dividendo la casa con quel volpone di Bersani. Non con questa truppa di parlamentari, armati forse di buona volontà ma privi di esperienza e di pelo sullo stomaco.

Grillo può aspettare ancora una, due legislature. Nel frattempo poteva fare la sua beata opposizione, pulpito privilegiato dal quale distribuire i suoi improperi.

Se gli italiani non gli avessero fatto lo scherzo di consegnargli più responsabilità di quelle necessarie, il disegno sarebbe filato via liscio. Ora l’intoppo si chiama credibilità. Ma a questa gli elettori di centrodestra non hanno mai dato troppa importanza.

I Berluscones, nuova religione di Stato.

In questi giorni di affanno, nel dopo elezioni più assurdo della storia d’Italia, numerose sono le riflessioni che affollano la mia mente: ne ho per Grillo, Bersani, Monti e nei prossimi giorni vergherò la mia tastiera per metterle nero su bianco. Su ciascuna di esse ho raggiunto un certo equilibrio di giudizio tanto che non trovo di nessuna utilità pubblicarle sul mio blog di auto-analisi politica.

Ma c’è una questione che da anni mi arrovella il cervello: Berlusconi e il suo popolo di seguaci. Sterminato e granitico. Invisibile ma potente, come l’aria, che percepisci, magari con la forza di un tornado, solo quando il vento te la spara in faccia.

Su Berlusconi si è scritto di tutto e di più e ciascuno si sarà fatta un’idea tutta sua. La mia sarebbe quella di troppo quindi me la risparmio.

Il vero protagonista dei miei incubi notturni è invece il suo popolo. Milioni, milioni e dico milioni ancora una volta perchè il dato assuma valenza concreta e reale, milioni di persone che instancabili, impassibili, quasi sorde alle sirene non soltanto del resto della società italiana, dei media, della stampa estera, ma soprattutto della propria etica, della morale, del senso dello Stato, continuano a consacrare e riverire il loro Dio in queste enormi cerimonie di massa che sono diventate le nostre elezioni.

Ecco il punto: ho avuto modo di conoscere alcuni elettori PDL. Non sono militanti. Leggono i giornali, ma non gli credono. Guardano i talk-show politici in tv solo se c’è la rissa, altrimenti seguono Gerry Scotti. Parlano di politica solo ripetendo come una preghiera slogan vuoti di significato ma ricolmi di emozioni e aspettative. Sordi a qualunque ragionamento, se messi all’angolo tacciono, dicono “va bene” e sorridono beffardi come Testimoni di Geova che stavolta non ti hanno convinto ma alla prossima citofonata, lo faranno.

Solo così si spiega l’inspiegabile. A un credente non puoi dimostrare nulla con la ragione, la risposta è la fede.

E questo Berlusconi deve saperlo bene, se non perde occasione per miracolose apparizioni (come quella da Santoro), mistiche rivelazioni (1000000 di posti di lavoro, la restituzione dell’IMU), parabole come barzellette e, soprattutto, la difesa della Chiesa (la sua) dall’attacco degli infedeli (i comunisti, i magistrati, o in generale chiunque non professi la loro stessa fede).

Il PDL è la loro religione, Berlusconi il loro Dio. Forse non bisogna combatterli, occorrerà imparare a conviverci. Anche perchè morto un papa, ce ne sarà comunque un altro.

Ratzinger sei avvertito.