Questo blog non è più aggiornato

Finalmente ci siamo decisi: il blog è stato spostato su un server dedicato, e il nuovo indirizzo è www.democraziaesviluppo.it

Questo spazio, nel quale di fatto il blog è nato cinque anni fa (anche se viene aggiornato costantemente da solo tre anni), non sarà quindi più aggiornato a partire da oggi, ma resterà raggiungibile tramite wordpress e i vecchi link ancora attivi sparsi qui e là nel web.

Ci vediamo di là! 😉

La fine del Movimento 5 Stelle

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Ci ho pensato a lungo se titolarlo effettivamente così, questo pezzo. Ma in effetti sì: profetizzo la fine del Movimento 5 stelle. Almeno nella forma (beh, la sostanza non è ancora pervenuta) in cui l’abbiamo conosciuto (o meglio, è stato propagandato) finora.

Sullo scoglio dei diritti civili si è infranto il veliero piratesco del Movimento. Che per la verità faceva acqua da tutte le parti già da un pezzo, con una larga fetta di ciurma ammutinata che è stata buttata a mare, e con una rotta tutta ancora da decidere.

I fatti sono noti. Nonostante nell’ottobre 2014 i pentastellati avessero indetto una votazione online per stabilire se si dovesse appoggiare o meno il pacchetto di norme sui diritti civili (inclusa la stepchild adoption), nonostante una maggioranza schiacciante dell’84% avesse detto sì, bisogna appoggiarlo (in verità fomentata anche dalla propaganda del capocomico:

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che attribuiva lo stallo su questi temi ai soliti nemici del popolo PD e PDL), Grillo, con una spiegazione del tutto falsa, smontata anche dal noto sito “bufale.net”, ha resettato tutto, e stabilito che niente da fare, sulla legge Cirinnà i parlamentari avranno libertà di coscienza. Nessuno, quindi, sarà espulso se voterà in modo contrario a quanto stabilito dagli iscritti poco più di un anno fa.

I commenti a questa decisione sono stati tantissimi, sia interni che esterni al Movimento. Ad esempio Pippo Civati ha commentato sornione che il PD, che ai suoi parlamentari ha concesso libertà di coscienza, non può additare il Movimento 5 Stelle di aver fatto lo stesso.

C’è però una grossa, evidente differenza. I parlamentari del Partito Democratico sono inquadrati secondo il dettato costituzionale, che respinge ogni ipotesi di vincolo di mandato; e anzi su temi così delicati è pacifico che il Partito lasci libertà di coscienza ai rappresentanti eletti, che semmai dovranno vedersela poi singolarmente con i propri elettori.

Qui invece siamo in un caso ben diverso. Il Movimento 5 Stelle non prevede affatto che i parlamentari eletti siano liberi di decidere secondo coscienza. I parlamentari (e i rappresentanti eletti in generale) sono infatti con enfasi rivoluzionaria definiti meri “portavoce”. Portavoce di che? Della volontà della base, sondata online attraverso una piattaforma; chi non vi si attiene viene espulso. Punto. E tra una tempesta e l’altra, finora il comandante della nave pirata si è effettivamente comportato più o meno così. Anche se in verità in tanti sono stati buttati a mare con processi sommari e motivazioni discutibili.

Ma ammettere libertà di coscienza su un tema già sondato e approvato dalla base, significa smontare definitivamente il presupposto della differenza tra il Movimento e un qualunque altro partito politico. Che opera, quest’ultimo, per espressa volontà del gruppo dirigente che in quel momento lo controlla, eletto però in un Congresso con regole certe e conosciute a priori, e libero quindi di stabilire di volta in volta linea politica, battaglie programmatiche, strategie e tattiche da mettere in campo. Semmai nel PD la discussione riguarda i limiti fino ai quali un gruppo dirigente eletto è libero di spingere la propria azione (in ogni caso, al massimo fino al prossimo Congresso), e mai la legittimità di farlo. E questo vale, peraltro, anche per Possibile, dove in molti hanno già esternato perplessità sull’effettiva efficacia e democraticità interna del neonato partito, da noi peraltro già messa in dubbio quando era ancora una mozione interna al PD e avendo sperimentato direttamente i metodi di persuasione e di riallineamento in voga all’epoca – ma disperiamo qualcosa sia cambiato nel frattempo – nel ristretto circolo civatiano che tiene le redini del comando. Perplessità così estese, quelle degli iscritti possibilisti, che post e polemiche sui social a parte, si è arrivati al clamoroso paradosso di un segretario eletto con un plebiscito pari a meno della metà degli iscritti, pur essendo unico candidato e indiscusso padre fondatore del partito,e  sull’onda dell’entusiasmo di quello che era di fatto il primo appuntamento dopo la tanto sospirata e attesa uscita dal PD.

Tornando a noi, il Movimento 5 stelle da oggi non è di fatto più lo stesso. Nel 2014 certo faceva comodo sfottere il Partito Democratico su temi del genere, per provocarne spaccature e imbarazzi. E Casaleggio, che di previsioni fa largo uso e abuso, ma è dubbio che ne abbia mai imbroccata una, si sarà all’epoca cullato nell’idea che la discussione sui diritti civili non sarebbe mai arrivata in Parlamento. E invece ci è arrivata, se ne discute, e siamo ad un passo – finalmente – dalla sua approvazione. Fattesi serie le cose, qualche parlamentare non propriamente di vedute progressiste avrà espresso la sua contrarietà. Poteva Grillo permettersi altre espulsioni? Peraltro i nomi dei parlamentari grillini che proveniendo da destra hanno incrociato il Movimento sono tutti noti e sono nell’Olimpo del Movimento. Poteva Grillo non tenerne conto? No, non poteva, e ha quindi preferito lavarsene le mani, e alzare bandiera bianca. Se questo è il Movimento sulle comode poltrone dell’opposizione, figuriamoci cosa potrebbe essere dall’altra parte…

Quindi, parafrasando il famoso tweet del comico, se l’Italia non avrà una legislazione per le unioni di fatto, sarà una vergogna attribuibile in primo luogo ai pilateschi vertici del Movimento, che da Quarto in poi non ne hanno più imbroccata una, e messi all’angolo dal pressing del Partito Democratico, ben intenzionato a farne esplodere limiti e incongruenze e non arrendersi inerte alla propaganda grillina, avrà sulla coscienza i diritti di migliaia di cittadini in attesa da troppo tempo che il vento del Cambiamento soffi finalmente anche in Italia, le decine di migliaia di suoi iscritti, delusi dalla conferma evidente di non contare nulla, i milioni di loro elettori che in queste ore, come i sondaggi sembrano indicare, si stanno chiedendo se davvero la strada della riforma tanto attesa e non più prorogabile di questo Paese, possa passare per i server del blog di Beppe Grillo.

 

 

Ma io sognavo un’italianità diversa.

Le braghe sui nudi al Museo fanno discutere.

Chi le attacca lo fa ritenendo politicamente scorretto il doversi sottomettere ad una potenza straniera, adeguando i propri costumi e la propria cultura a chi non può o non vuole intenderla, svelando con l’eccessiva reverenza, il limite della sottomissione; immeritata e ingiustificabile, peraltro, visto lo spessore morale alquanto dubbio di chi si ha di fronte, e che nel suo Paese non rende di certo il favore di cotanta ospitalità.

Chi difende lo zelo dello Stato, invece, taglia corto, giustificandolo pragmaticamente con i tanti miliardi sul piatto.

Le novelle braghe sulle statue dei Musei Capitolini, una volta simbolo della peggiore Italia bacchettona e puritana, sono stavolta la massima espressione dell’italianità contemporanea: quella che si cura di compiacere l’ospite, per farci meglio affari.

Come se la controparte, a sua volta, non ne ricavasse già i suoi vantaggi. Perché un contratto è a prestazioni corrispettive: ti do questo che ti interessa, se tu mi dai quello, che interessa a me. Se un accordo viene raggiunto, è perché è reciprocamente vantaggioso per tutte le parti. E nel resto del mondo basta questo.

Qui no. Chi fa affari con un italiano non lo fa perché si aspetta di trovare beni di eccellenza e servizi efficienti. Ma perché qua se beve e se magna; perché con gli italiani si è trovato a suo agio, come a casa sua, dove non ci sono nudi esposti alle pareti; o perché magari ha trovato un paio di donnine discutibili, ma molto disponibili, in camera sua. Fino al limite della immancabile, pingue bustarella.

Tutto è giustificabile, se sul piatto ci sono soldi.

Dubito fortemente, però, che se un imprenditore italiano andasse in Germania per comprare semilavorati per la sua impresa, farebbe saltare il tavolo perché a pranzo gli hanno servito wurstel e crauti, invece che pasta asciutta.

Speravo quindi che, almeno su questo, potessimo realizzare il primo vero e più importante #cambiaverso. Che è culturale, quindi la madre (o il padre, su questo la parità di genere costa nulla) di tutti i cambiaversi.

Ma niente. Gli italiani fanno (ancora) affari così, perché, in fondo, più o meno inconsciamente, temiamo di non essere all’altezza. All’altezza del mercato, all’altezza della competizione globale, all’altezza delle aspettative dell’ospite.

Ahivoglia a fare proclami di grandeur e di ritrovato orgoglio nazional-patriottico-sciovinista a reti unificate, di efficacia e di efficienza del sistema Italia, di riconoscimenti internazionali raggiunti o in corso di ottenimento.

Manco Checco Zalone poteva rendere meglio la nostra reale impreparazione e insicurezza, rivelatrici sul piano culturale di un banale provincialismo, e sul piano contrattuale di una endemica debolezza che le controparti non tarderanno ad intercettare.

Foto di copertina: credits.

Fatta la Capitale, bisogna fare i capitali.

I consiglieri comunali di Matera si Muove attaccano Verri, chiamandolo per nome a dare spiegazioni, sulle spese sostenute da Matera 2019 nel corso degli ultimi tre anni.

La Fondazione, e prima il Comitato, sono soggetti di diritto privato, che anche per ragioni di maggiore operatività agiscono con procedure privatistiche, potendo quindi scegliere il tipo di spesa da sostenere, l’importo da impegnare e finanche scegliere fornitori di beni e servizi senza dover dar conto a nessuno. Il problema nel nostro caso è che gestisce fondi pubblici, che arrivano dalla Regione, dal Comune e dopo la vittoria del Titolo di Capitale europea della Cultura, anche dallo Stato.

Questo meccanismo è teoricamente pericoloso, perchè ci si consegna alla buona volontà dei gestori di utilizzare in trasparenza i fondi pubblici in dotazione. Nel caso di Matera 2019 si è quindi pensato di ovviare inserendo nel CDA della Fondazione anche il sindaco della città e il Governatore della Regione, che delle gestione si assumono responsabilità politica e assolvono funzioni di controllo pubblico.

Tale meccanismo è stato quindi avallato all’unanimità da tutto il Consiglio Comunale di Matera, maggioranza e opposizione, non più tardi di un anno e mezzo fa, con tanto di commosso applauso finale.

Cos’è successo diciotto mesi e un’elezione più tardi?

Succede che due consiglieri di maggioranza saltano sulla sedia leggendo il consuntivo delle spese degli ultimi tre anni della Fondazione e chiedono a Paolo Verri di riferire in Consiglio Comunale come di fronte all’Inquisizione, con tanto di comunicati stampa al vetriolo che non mancano di far trasparire una preventiva e inappellabile condanna per lo scialacquatore. In tempi di generale sfiducia nei confronti del Pubblico, l’equivalente di una bomba mediatica ai danni della Fondazione e di Matera 2019, un elefante che irrompe in un negozio di bomboniere e cortesemente chiede di vedere l’ultima lampada di Murano, un attentato alla credibilità dell’Istituzione che di fatto essi stessi per tramite del sindaco da loro votato e sostenuto, indirettamente governano, come un marito che contesta alla moglie di aver pagato troppo il latte in polvere senza avere la minima cognizione di quanto costi il latte in polvere.

Immagino quindi i nostri provincialissimi consiglieri comunali confrontare il loro parco gettone di presenza di poche decine di euro con le decine di migliaia spese per il battage pubblicitario e di marketing che peraltro, fatto non secondario, ha permesso alla città di vincere la competizione cui si era candidata assicurandosi il diritto di ricevere ora diverse decine di milioni per continuare l’attività. Immagino i due poveretti saltare sulla sedia nell’apprendere che scrivere un dossier di candidatura è costato 31.600 euro, tradurlo poco più di 5.000, stamparlo 15.000 e indignarsi di tale “spreco”. Per carità, il mercato è vario e certamente vi saranno professionisti disposti a farlo per meno (e siamo certi che i due consiglieri hanno tanti amici capaci che avrebbero potuto farlo). Ma anche per di più. Se è vero, come è vero, che la città di Taranto aveva stanziato la bellezza di 90.000 euro per scrivere il proprio dossier. Ed era solo per candidarsi a Capitale italiana, manco europea. Lo ricorderanno i due zelanti consiglieri, visto che risultò poi coinvolto anche il nostro sindaco, in una misura che non si capì mai bene quale fosse. Ne parlammo qua.

In ogni caso Paolo Verri, senza fare una piega, si è subito detto disponibile a fornire le “rizzette” del caso, in pieno stile open data. Ma sinceramente, non credo che ai due consiglieri gliene freghi più di tanto: in pieno clima di antipolitica a loro basta fare credere di essere gli alfieri della legalità, dalla parte dei cittadini.

Peraltro non possiamo non notare che nella polemica è indirettamente coinvolto anche il sindaco De Ruggieri, che ha fatto parte del Comitato Matera 2019, e da sindaco, del CDA della Fondazione. Non sarà mica una ripicca dopo la bocciatura della delibera del caso Fareverde? O a qualcuno a Matera prudono le mani al pensiero dei tanti milioni da gestire senza dover dare troppe spiegazioni, da qui al 2019, e vedono in Paolo Verri l’ultimo ostacolo da superare per poter fare liberamente baldoria?

Nel dubbio, e considerando che le cifre spese non sembrano essere nè fuori mercato, nè improduttive (dal momento che ci hanno consentito di vincere la competizione), e non essendoci dubbi di sorta sulla trasparenza della gestione, almeno stando a quanto noto finora, e in ultima analisi fidandoci del controllo incrociato tra Sindaco, Governatore e Direttore, che certo non si amano oggi e non si amavano in passato, ringraziamo ancora una volta Paolo Verri di essere lui a dirigere la baracca. E ci auguriamo possa continuare a farlo. Anche per la rara sensibilità dimostrata nel caso del Quotidiano di Basilicata, che ci fa ben sperare nel prosieguo.

Certi come siamo, che in mano a certi politici locali, tutto il castello di carte faticosamente costruito fin qui, finirebbe dritto nel tritarifiuti, prima di poter diventare, ce lo auguriamo vivamente (ma visto lo spessore di questa classe dirigente non ci speriamo troppo), un massiccio castello in muratura che possa ospitare tutti.

 

Papa Francesco, l’ipocrisia e il potere.

Si legge in questi giorni che il Papa si sarebbe messo di traverso rispetto alla cordata capeggiata da una fronda interna della Chiesa che chiederebbe al Vaticano di spingere per la riuscita del Family Day, che quest’anno assume un significato del tutto particolare essendo seriamente in discussione la possibilità che finalmente il Parlamento italiano vari una norma per il riconoscimento universale dei diritti civili. Addirittura il cardinal Bagnasco, che aveva chiesto udienza a Bergoglio sarebbe stato rimbalzato dal Papa stesso. La Santa Sede si affretta a spegnere le polemiche, ma intanto una vocina si intrufola e gira insistentemente nei pensieri degli italiani: il papa è a favore dei gay? Beh, se certamente non lo vedremo mai sfilare in testa ad un Gay-Pride, di sicuro non è la prima volta che Papa Francesco strizza l’occhietto al movimento omosessuale, fin da quel “se una persona è gay, chi sono io per giudicarla?” del 2013, che fece partire una ola dalla curva dei vaticanisti più riformisti e aperti e di atei e laici vessati da secoli di ingerenza del potere spirituale su quello temporale, lasciando intravedere in fondo al tunnel la possibilità di un oramai insperato adeguamento della Chiesa ai tempi.

Eppure quando Papa Francesco era “solo” Jorge Bergoglio, cardinale della periferia del mondo al centro di Buenos Aires, le cose sembravano molto diverse.

Era solo il 2010 quando il futuro papa si mise di traverso, stavolta, alle riforme appena annunciate dall’allora Presidenta Cristina Kirchner, che stava per varare una legge per legalizzare il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Ne parlarono la BBC, la Naciòn, e molti altri giornali e siti locali, basta una ricerca mirata su Google.

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Parteciparono tra le 50 e le 100 mila persone. Bergoglio fu l’animatore della protesta. “Distinguire non è discriminare… approvare il matrimonio omosessuale è un arretramento antropologico” disse l’allora cardinale. Bergoglio fece distribuire un volantino contro la proposta di legge argentina, secondo il quale essa era “la pretesa distruttiva del piano di Dio”. Toni da Inquisizione, come infatti Cristina Kirchner bollò la protesta e l’attivismo bergogliano. Riportiamo qui la traduzione dell’articolo de “La Nacion”, uno dei maggiori quotidiani argentini:

Bergoglio si è messo in testa alla marcia

Il Cardinale Jorge Bergoglio si è messo direttamente in testa alla marcia contro il Matrimonio gay. L’arcivescovo di Buenos Aires ha inviato una lettera a parroci e cappellani perchè facilitino ai loro fedeli la partecipazione, martedì prossimo, alla manifestazione di fronte al Congresso. Bergoglio ha anche chiesto che nelle messe di dopodomani venga letta la dichiarazione dell’Episcopato “sul bene inalterabile del matrimonio e della famiglia”. E’ infatti previsto che il prossimo mercoledì sia discusso in Senato il progetto di legge sul matrimonio omosessuale. Bergoglio ha inviato il messaggio gli ultimi giorni di giugno, ma è stato diffuso solo ieri. Un giorno prima era stato resa nota un’altra lettera di Bergoglio diretta alle monache carmelitane, nella quale criticava con durezza il progetto di legge approvato nella Camera dei Deputati.

La posizione del cardinale è stata rispedita al mittente da Néstor Kirchner. Il marito della Presidenta, uno dei principali promotori del matrimonio egualitario, ha tuonato contro la Curia: “L’Argentina deve abbandonare definitivamente le visioni discriminatorie e oscurantiste”. In questi sette anni di Kirchnerismo al governo la coppia presidenziale non ha mai nascosto la scarsa simpatia per il cardinal Bergoglio. Uno degli atti concreti del Governo nella sua “guerra” con Bergoglio fu di trasferire la messa ufficiale del 25 maggio (Festa Nazionale Argentina, ndt), a diocesi considerate “amiche”.  […]

La deputata Elisa Carrió ha commentato che il dibattito legislativo è condizionato pesantemente da motivazioni quasi personali: “Le posizioni rigide sono riscontrabili in entrambi i lati, dai settori estremisti della Chiesa, però anche dalla parte di Nestor Kirchner, che vuole usare il matrimonio gay per confrontarsi con Bergoglio”. E ha aggiunto: “La verità è che a Kirchner non gli importa nulla della comunità gay, quello che a Kirchner interessa è combattere con qualcuno e sta usando gli omosessuali.”  […]

Dichiarazione della Chiesa (attribuita a Bergoglio, ndt)

“Affermare l’eterosessualità come requisito per il matrimonio non è discriminare, ma partire da una nota oggettiva come suo requisito preventivo. Il matrimonio non è una istituzione solamente umana, nonostante le numerose variazioni subite nel corso dei secoli. Non siamo di fronte ad un fatto privato o a un’opzione religiosa, ma di fronte a una realtà che ha le sue radici nella stessa natura dell’uomo, che è uomo e donna. Il matrimonio come relazione stabile tra l’uomo e  ladonna, che si completano con la trasmissione e la cura della vita.”

Insomma, al di là dei fatti e delle reciproche posizioni, emerge quindi dalla lettura degli articoli dei quotidiani, una guerra fredda, anzi piuttosto calda, tra il Kirchnerismo e il Bergoglismo, nella quale gli omosessuali sono, loro malgrado, solo un’arma nelle mani rispettivamente dello Stato e della Chiesa.

Le posizioni molto più morbide (e condivisibili) di oggi di Papa Francesco sono dunque solo un’arma da scagliare contro i propri nemici interni?

Possibile. Il dietro front è davvero di quelli clamorosi, anche se parzialmente giustificabile dalla differenza dei due ruoli.

Ma proprio per questo sarebbe il caso di cogliere l’opportunità che il momento storico offre a questo Paese, forse irripetibile, per portarsi alla pari con il resto dell’Europa.

Paolo Verri diffida il Quotidiano di Basilicata sull’uso del Logo di #Matera2019

Dopo l’appello lanciato dal nostro blog e raccolto e condiviso da centinaia di lucani, Paolo Verri, direttore della Fondazione Matera 2019 ci comunica su facebook di aver diffidato il Quotidiano di Basilicata dall’usare il logo sulla testata del giornale.

Com’è noto l’editore ha messo in liquidazione il giornale, chiudendo dalla sera alla mattina le redazioni di Potenza e Matera, e continuando a stampare il giornale dalla Campania o dalla Calabria. Forse per assicurarsi di intascare i contributi alla stampa, come la tranche di 900.000 euro appena incassata.

E’ evidente che questo (forse, ma non disperiamo) non cambierà le sorti del Quotidiano, ma segna il primo atto concreto (dopo tante parole spese, dovute ma vuote) nella direzione della condanna di un’imprenditoria che pretende di fare della Basilicata terra di razzìa, alla “prendi i soldi e scappa”; uno scenario già visto mille volte in passato e che con Matera 2019 rischia di ripetersi.

Ci complimentiamo quindi con Paolo Verri, scusandoci di averlo tirato per la giacchetta con pedante insistenza. Ma il futuro per essere davvero “open” per tutti, e non per pochi, necessita che la Fondazione abbia peso “politico”, indirizzando per quanto possibile le azioni dei cittadini, delle imprese e delle Istituzioni verso il nostro comune scopo: fare del 2019 l’orizzonte a partire dal quale lo sviluppo della Basilicata non sia più solo un vuoto obiettivo, sempre troppo in là da raggiunto.

Ce la possiamo fare, grazie Paolo per non averci fatto perdere la speranza!

Critica della ragion dell’assorbente

Il fatto è che Civati e alcuni parlamentari a lui vicini hanno presentato alla stampa un progetto di legge per la diminuzione dell’IVA sugli assorbenti dal 22 al 4%, equiparandoli in pratica a beni di prima necessità, come pane o latte.

La singolare proposta ha scatenato le ironie dei renziani e i pruriti dei social: i primi hanno dato una mano ai civatiani (in debito di visibilità da quando sono fuori dal Partito Democratico -ormai se li fila, ma di Striscia, solo Peppia Pig) a far parlare della loro attività politica; i secondi hanno diffuso la notizia a modo loro, tra canzonature e battute di spirito: i social sono i social, e qui dire “culo”, “tette” o “assorbenti” fa ancora ridere i quarantenni come un bambino di sei anni nella vita reale. Ma tant’è…

A mal pensare, forse la manovra è stata finanche studiata e voluta. La bizzarra proposta è infatti rimbalzata di bocca in bocca e anche le condivisioni ironiche hanno aiutato “Possibile” a dire alle donne: “ehi, noi pensiamo a voi!“. Direttamente a trenta milioni di destinatarie potenziali. Mica poche. Dal punto di vista comunicativo, insomma, una manovra simile a quella degli asili nido di Renzi (ricorderete, ce ne siamo già occupati), quando in piena campagna elettorale per le primarie pareva quasi che il problema fondamentale dell’Italia fossero i poveri bambini in lista d’attesa negli asili comunali. Forse non era proprio così, ma chi potrebbe contestarlo o dirne male? E anzi, peccato che ora il problema sia quasi scomparso dalle agende della politica. Ma tant’è, pure questo…

In verità non siamo riusciti a trovare il ddl Brignone-Civati sugli assorbenti nel database della Camera; forse non è stato ancora depositato, o ci vuole un po’ perché venga messo online, o forse siamo delle seghe noi nelle ricerche. In ogni caso affrontiamo la questione seriamente. Per quanto ci è possibile esser seri. Cioè poco. Ma tant’è (ma che è oggi sto tant’è?).

Com’è noto, avendolo di recente appreso da una puntata di Super Quark direttamente dalle carnose labbra di Alberto Angela, con cadenza di circa 28 giorni ogni donna in età fertile ha il ciclo mestruale. Il che significa da tre a sette giorni di mal di pancia, mal di testa, maltrattamenti a mariti e fidanzati, e soprattutto perdite ematiche. È su queste ultime in particolare che il ddl si concentra (io avrei puntato piuttosto a regolamentare i maltrattamenti, ma tant’è – e ancora? Basta!).

L’operazione, forse un po’ ruffiana ma di indiscutibile utilità, non sembra però essere del tutto indolore. Da un rapido calcolo a naso, considerando circa 20 milioni di donne mestruate al mese, ciascuna delle quali in obbligo di utilizzare almeno 5 assorbenti al giorno per, diciamo, una media di 5 giorni… arriviamo ad un consumo complessivo di circa 500 milioni di assorbenti al mese. Ora, il prezzo degli assorbenti varia enormemente, e non starò qui a tediarvi sulla differenza tra quelli con le ali e senza, o con il filtro controllo odori e la spugna in lactiflex superassorbente ma ultraslim che non si nota manco se giri in città in mutande, e tra modelli esterni ed interni. Che pure potrei. Ma non lo farò. Diciamo che da ricerche di mercato ad cazzum (praticamente ho chiesto a mia moglie) ho individuato che il costo di un pacco da 10/12 è intorno al 3/5 euro. Il che significa che al consumatore (-trice) ogni pezzo costa circa 30 centesimi. Centesimo più, centesimo meno. Per una spesa mensile media procapite, prendendo per buoni i dati di cui sopra, di almeno 8/9 euro; complessivamente il mercato degli assorbenti dovrebbe quindi valere 160 milioni di euro al mese; più di due miliardi di euro l’anno. Iva inclusa. Mettiamo qui la tabella con i calcoli eseguiti e le conclusioni dedotte, che saranno all’uopo commentate.

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Sul consumo annuo di assorbenti in Italia abbiam anche trovato “autorevole” conferma in rete quindi la prendiamo per buona.

Ora, milione più milione meno, abbassare l’iva dal 21 al 4% si tradurrebbe in un risparmio mensile per la singola donna di circa un euro e quaranta centesimi; poca roba. Ma complessivamente tutte le donne italiane risparmierebbero ogni anno più di 300 milioni di euro. Centinaia di milione più, centinaia di milione meno. Insomma, un piccolo risparmio per una donna, ma un grande risparmio per l’umanità femminile.

Il che però, in maniera esattamente opposta e simmetrica, è anche quanto costerebbe allo Stato la suddetta riduzione. Trecento milioni l’anno non sono proprio bruscolini. A pioggia poi. Ovvero, posto per ipotesi che una donna miliardaria abbia lo stesso ciclo mestruale di una donna poverissima, risparmierebbero più o meno tutt’e due circa quindici euro l’anno. Un modo un po’ bizzarro di utilizzare il bilancio pubblico, la leva fiscale e le politiche di redistribuzione. Soprattutto pensando che Possibile ha appena fatto una campagna velenosissima contro il bonus cultura varato dal governo Renzi come “regalo” dello Stato ai diciottenni, rimproverando appunto di non fare differenze tra 18enni ricchi e 18enni poveri.

Siamo quindi davvero sicuri che il provvedimento, salutato dai civatiani come adeguamento alle più recenti tendenze legislative europee, sia proprio così utile? Dove troveremo i trecento milioni necessari per la copertura? In altre parole, a cosa dovremo rinunciare per ottenere quindici euro di tasse di risparmio all’anno per ogni donna? A quali servizi? O quale tassa sostituirà il mancato introito?

Per inciso, siamo poi abbastanza convinti che, conoscendo da una parte un po’ il mercato, dall’altra come gira questo porco mondo, parte del risparmio previsto, se non proprio tutto, verrà subdolamente intascato dai produttori, adeguando al rialzo i prezzi: i consumatori infatti sono già abituati a pagare una cifra tot, e non gli cambierà certo il mondo risparmiare qualche centesimo a pacco. Ammesso che se ne accorgano.

E magari sarebbe più “de sinistra” provare a spingere per l’uso di assorbenti lavabili e/o riutilizzabili, piuttosto che spingere per l’usa e getta.

In ogni caso, queste dovrebbero essere le vere domande da girare ai firmatari, o le vere critiche da muovere ai proponenti.

Ma tant’è. Culo, tette, assorbenti.

AGGIORNAMENTO del 15/01/2016: Secondo Vanity-Fair, che cita dati Nielsen forniti da Lines Italia, in realtà l’impatto della riduzione iva sugli assorbenti sarebbe ben minore: il risparmio dell’IVA sarebbe “solo” di 75.000.000 di euro, per un risparmio a donna di circa 5 euro l’anno.

Nel compilare i dati a naso abbiamo sovrastimato il costo medio delle confezioni (non 3 ma 2,3 euro) e il consumo medio procapite mensile (non 25 ma circa 10).

In ogni caso, come emerge anche dai commenti a questo articolo e dalle reazioni social provocate dall’annuncio del ddl (complimenti agli strateghi marketing di Possibile, in questo sempre capaci e attenti) il provvedimento si tradurrebbe quindi più una enunciazione di principio (“gli assorbenti sono un bene di prima necessità”, “lo Stato è attento ai bisogni delle donne”, ecc) che in un effettivo beneficio economico. Pertanto, fermo restando il principio, riteniamo sarebbe maggiormente utile utilizzare i 70 milioni di euro – ad esempio – per una distribuzione a prezzo politico o gratuita per le fasce di popolazione meno abbienti.

Matera2019 ritiri subito il suo logo dal Quotidiano di Basilicata!

Senza nome

Sulla testata del Quotidiano della Basilicata campeggia ancora trionfante il logo di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura.

Ma da oggi quei fogli di carta sono fogli vuoti. Inutili contenitori di veline passate al vaglio di una redazione che di lucano non ha più nulla.

Con decisione unilaterale, com’è ormai noto, ieri la proprietà ha deciso di azzerare la redazione lucana del quotidiano, mettendo in cassa integrazione a zero ore i professionisti che vi lavoravano. Il giornale sarà confezionato asetticamente in Campania.

Inutile spendere qui parole per dichiarare la vicinanza ai giornalisti e testimoniare il profondo legame con questa terra costruito negli anni dalla direttrice Lucia Serino e i suoi colleghi con i lucani, raccontando in maniera indipendente e plurale i fatti, ed esprimendo e lasciando esprimere le più varie opinioni.

La mobilitazione di queste ore ne è la prova più viva.

Chiediamo invece alla Fondazione Matera 2019 di vietare all’editore l’utilizzo del marchio di Capitale Europea della Cultura, protestando in questo modo ufficialmente contro una decisione che la cultura punta ad ucciderla.

In culla. Che da ‘ste parti la cultura è (era?) ancora tutta da costruire.

E la redazione del Quotidiano di Basilicata, con il suo impegno – appunto – quotidiano, stava dando una fondamentale mano a realizzarla.

 

Se Grillo piange, il PD non deve ridere

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Diciamoci la verità: vedere quelli del PD che fanno i grillini è uno spasso. A Quarto vengono fatti buttare fuori dall’aula del consiglio comunale dal servizio d’ordine, perchè esponevano il cartello “Dimissioni”… Ahahah! Ma dai, proprio loro! Che su quei cartelli ci mangiano e dormono (a favore di telecamera).

È troppo divertente vedere dietro a quanti distinguo e difese d’ufficio, a quanti “ma” e “però” si nascondano i paladini dell’onestà sputata in faccia ai cittadini come ne fossero gli unici detentori, un marchio col copyright da difendere col pugnale fra i denti. Ora che ad inciampare sulla strada del potere disseminata di buche pericolose sono proprio loro. E di strada ne hanno pure fatta (e fatta fare) ben poca…

È impagabile vedere quanto soffrano, perchè non si può mettere in discussione che (come avranno realizzato i lettori di questo blog) il modello pentastellato sia sbagliato, faccia acqua da ogni parte, non garantisca assolutamente quel che dovrebbe garantire, ovvero la selezione di una classe dirigente onesta e competente. Onesta, forse (!?). Competente, ma quando mai…

E’ consolante vedere grillini che sui social difendono “la Ditta” – ohibò – chiosando che è noto che la mafia salga sempre sul carro dei vincitori. È quindi è normale trovarsela di fianco, se vincono loro. Eh, ma allora questo non varrebbe per tutti? E no, la presunzione d’innocenza vale solo se voti il comico nazionale. Se no sei un corrotto. A prescindere, come diceva Totò.

È davvero troppo appagante rivolgere loro, per una volta, le accuse, gli sfottò, finanche gli insulti che quotidianamente ogni onesto militante del Partito Democratico deve subire. Quasi vergognandosi di quella tessera in tasca, fatta col sogno di cambiare se non il mondo, perlomeno il pianerottolo davanti al portone di casa. Pur sentendola insufficiente, inadeguata, e soffrendo ogni santo giorno per quanto cambiare qualcosa in questo Paese sia così tremendamente difficile. Ma sentendo che ogni altra strada possibile, è un vicolo cieco.

E’ bello, impagabile, consolante, appagante. Per una volta. Poi basta.

Perché nella sfida al ribasso tra gli sbandieratori della legalità e i difensori del principio “avete visto che alla fine siamo tutti uguali”, vincono loro. Loro, che governano dieci Comuni, nessuna Regione. Loro che salgono sui tetti, che in Parlamento non ci sanno stare. Loro che parlano da un blog. Loro che votano le espulsioni, ma non gli indirizzi politici. Loro che alla fine dei conti, non contano un cazzo, e s’illudono di valere uno. E magari! Uno sarebbe già tanto.

A buttarla in cagnara vincono loro. Perché significa che abbiamo rinunciato a guidare la società, e ci fermiamo per prendere a ceffoni quello m che strombazza col clacson da dietro, perchè vuole passare avanti, non riuscendo a vedere che il Paese è ridotto a una sola corsia da eterni lavoro in corso, e siamo tutti in fila a passo di lumaca.

Perchè quelli che devono dimostrare di essere costantemente al di sopra di ogni sospetto siamo noi. Anche quando il sospetto, come nel caso Banca Etruria, è solo farneticazione urlata dal web.

A buttarla in cagnara, vincono loro. Perchè non hanno nulla da dimostrare. Nulla da perdere. Nulla da farsi perdonare.

Che poi l’ultimo che ha provato a dire: siamo tutti uguali; bisogna prenderne atto, così fan tutti; è morto solo, in esilio.

L’onestà è già qui, nella pratica di centinaia di amministratori, dirigenti, militanti che vogliono un’Italia diversa. Che non si vuole vedere. Tiriamo invece fuori il loro esempio, e allora sì, l’onestà tornerà di moda.

Che non è mica una T-shirt figa da indossare in discoteca. Ma un costume anonimo da indossare ogni giorno. Tutti.

Quando Aldo Grasso criticava il Capodanno Rai e Pino Daniele

“Il grande veglione di Capodanno in diretta dal Forum Sport Center di Dolonne era in realtà un grande spot delle Funivie Monte Bianco, del Comune di Courmayeur, della Valle d’Aosta, regione autonoma, molto privilegiata (anche qui presidente faccia in fretta). Così le povere vecchiette e i poveri vecchietti – quorum ego – che hanno assistito al programma, hanno dovuto sorbirsi Al Bano (vive in Rai), Pino Daniele, Santa Esmeralda, Ritchie Family, Gibson Brothers, Audio 2, Simona Molinari, Moreno, Patty Pravo («Pazza idea di far l’amore con lui, pensando di stare ancora insieme a te…»).”

Così scriveva Aldo Grasso un anno fa, a proposito del Capodanno Rai 2014/15 da Courmayeur.

Penso che i critici televisivi agni inizio dell’anno fotocopino lo stesso articolo, cambiando solo il nome della location, dei presentatori e degli artisti invitati.

E per darsi ragione da soli, devono pure dire che gli italiani sono “costretti a sorbirsi Pino Daniele”.Ma quella di Pino Daniele sarebbe stata l’ultima esibizione. Sarebbe morto 3 giorni dopo. E oggi forse anche Aldo Grasso si farebbe povero vecchietto per potersela “sorbire” di nuovo.

Si fa bene a criticare la televisione, ad alzare l’asticella, a pretendere di più. Ma se la critica deve distruggere per forza, per partito preso, a prescindere, forse è meglio fermarsi sulla soglia. Anche perchè oggi con i social è facile scagliare un sasso, e ritrovarsi a gestire una lapidazione, appena un attimo dopo.

In ogni caso sarebbe bello se a partire dal prossimo anno costringessimo – proprio dalla città dei Sassi – gli sfaticati critici televisivi a riscrivere un articolo nuovo. Tutto da capo.

Tireranno altri sassi. Ma almeno gli faremo fare la fatica di raccoglierli. O di venirli a vedere.